Le mine liturgiche di Bergoglio

Il Padre Nostro non è una preghiera come tutte le altre: è l’unica preghiera della cristianità uscita direttamente dalla bocca di Cristo, ossia Dio fatto uomo. Non proprio una cosuccia da niente. Prima di modificarne il testo, quindi, bisognerebbe pensarci bene, molto bene. Tanto più che il testo originale in greco è molto chiaro e per niente ambiguo. Questo papato, invece, sarà ricordato anche per aver messo mano, con leggerezza e approssimazione filologica disarmante, alla preghiera più sacra per ogni cristiano. Il passo in questione è quello che recita “non ci indurre in tentazione” rinovellato in “non ci abbandonare alla tentazione”. Sull’obbrobrio linguistico creato, una vera invenzione senza fondamento, rimando alla delucidazione tecnica di don Nicola Bux cui aggiungo che non solo il testo greco è limpido, anche quello presumibile in aramaico lo è. Secondo il biblista Jean Carmignac, infatti, esso si tradurrebbe con “fa’ sì che, una volta tentati, non entriamo nella trappola della tentazione.”

Ma a me preme sottolineare altro. Intanto, la motivazione che avrebbe reso necessaria questa nuova interpretazione: la versione originale, dicono, potrebbe essere fraintesa dall’orecchio del fedele moderno. Ossia, la sempre presente ossessione bergogliana di adeguare la dottrina ai tempi. Ma il linguaggio cristiano, aspirando a comunicare verità senza tempo, non dovrebbe essere condizionato da quello corrente. Semmai, si dovrebbe lavorare sul “sentire” contemporaneo per farlo riallineare alle verità eterne, nel caso se ne fosse distaccato. Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità, disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero, dice un proverbio arabo. Senza contare che, se questo fosse un principio generale, sarebbero tanti i passaggi da rivedere, specie nell’Antico Testamento. Per esempio, tutte le volte che Yahwè ordina agli israeliti di andare a massacrare uomini, donne e bambini delle tribù nemiche. Versetti che potrebbero essere certo male interpretati. Perché allora non sostituirli con qualcosa di più politicamente corretto come “ordinò di andare a redarguire le tribù nemiche”?

Forse, se oggi si può procedere con questa facilità a cambiare le parole delle preghiere è perché, anche fra gli “addetti ai lavori”, si è perduto il senso della loro importanza. Ma non è sempre stato così. Basti pensare che lo scisma d’oriente si consumò anche per una diatriba lessicale su una preghiera, il Credo, che non era nemmeno uscita direttamente dalla bocca di Dio. Roma appoggiava la versione in cui “lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio” mentre gli ortodossi erano per uno Spirito Santo che procede “dal Padre al Figlio”. Possono sembrare inezie teologiche ma sono costate una spaccatura ancora presente nella Chiesa.

Il nuovo “non ci abbandonare nella tentazione” potrebbe generare anche un’interpretazione da cui deriverebbe una grave richiesta di sospensione del libero arbitrio. Infatti, se nel “non ci indurre in tentazione” c’era solo l’umanissima richiesta di non essere sottoposti ad una prova, adesso si potrebbe intendere anche come l’implorazione di un intervento divino nel caso in cui si dovesse andare vicini a cadere nel peccato. Come se, da sobrio, chiedessi preventivamente a Dio di intervenire nel caso in cui mi venisse offerto un seducente bicchiere di vino, per evitare di farmi ubriacare. Richiesta che, se accolta, sconvolgerebbe il senso stesso della nostra esistenza.

A riprova di quanto la versione originale del Padre Nostro fosse adeguata, si possono citare due giganti come Sant’Agostino e Giobbe, concordi nel sottolineare l’importanza delle prove, specie se difficili, in un percorso di crescita spirituale. Ancora una volta, Bergoglio si è voluto adeguare a quel filone del pensiero moderno che tende a sollevare l’uomo dalle difficoltà anche quando queste possono forgiare uno spirito più forte e consapevole di sè. Un po’ come la moderna didattica che vuole una scuola sempre più “minima”, senza bocciature, senza fatica, senza studio, con tanti giochi, test e progetti collaterali… coi fantastici risultati che le cronache ci testimoniano ogni giorno.

Sant’Agostino, a commento del salmo 60, afferma: “La nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, nè può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova. Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute. Dunque egli ci ha come trasfigurati in sè, quando volle essere tentato da Satana nel deserto […] Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo […] Egli avrebbe potuto tenere lontano da sè il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato”.

Giobbe invece afferma: “se da Dio abbiamo accettato il bene, perché non dovremmo accettare il male? Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore.”

Ma la furia manipolatoria di Bergoglio non si ferma al Padre Nostro. Altri fondamentali passi della liturgia vengono modificati in modo assai opinabile. Le Liturgie Lauretane, con cui nel Rosario viene invocata la Madonna, sono integrate con un solacium migrantium (“conforto dei migranti”). Un’entrata a gamba tesa dell’attualità politica e dell’ideologia immigrazionista tanto cara al globalismo apolide e ateo, all’interno di una preghiera che guarda all’eterno e alla totalità dei cristiani. Che gli immigrati siano in gran parte islamici evidentemente è un dettaglio trascurabile…

Nel Gloria viene sostituito il “pace in terra agli uomini di buona volontà” con il più lassista “pace in terra agli uomini amati dal Signore”, lasciando quasi sottintendere che Dio non ami tutti ma solo alcuni. E comunque lo sforzo della buona volontà per aver pace diventa superfluo, contraddicendo Luca 10-3,6: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.”

Nella liturgia eucaristica laddove si recita “beati gli invitati alla cena del Signore” si sostituisce “Signore” con “Agnello”. E mettere “cena” e “agnello” nella stessa frase non è scelta felice, facendo pensare all’abbacchio, come ironizza caustica Silvana De Mari.

Infine, la modifica più grave e ridondante, nella consacrazione eucaristica, il momento più solenne in cui lo Spirito Santo opera la transustanziazione tramite il sacerdote. Nella formula “santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito” il termine “effusione” viene sostituito con “rugiada”! Questa assurda scelta lessicale secondo alcuni riecheggerebbe sinistre simbologie massoniche per cui tutta la consacrazione potrebbe risultarne inficiata! Una Messa senza sacrificio, dunque, in cui la particola rimarrebbe semplice pane azzimo invece di diventare corpo di Cristo.

Tutte queste modifiche somigliano a tante mine piazzate nei gangli della ritualità cristiana. E il quadro d’insieme risulta molto, molto inquietante.


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Pubblicato da L'Uomo Mascherato

Non posso dire molto. Sono un uomo. E sono mascherato.

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